1924. Lenin muore e San Pietroburgo cambia nome in Leningrado. Giacomo Matteotti viene rapito e ucciso dai fascisti per aver denunciato brogli elettorali. Adolf Hitler lascia il carcere di Landsberg am Lech per buona condotta. Viene segnato il primo gol direttamente da calcio d’angolo. Ed è ovviamente di quest’ultimo evento che vi parliamo oggi.
Il gol da corner è un’immagine romantica e quasi nostalgica. Una pennellata che avvicina i comuni mortali agli dei del pallone, perché è una genialata riuscita a grandi campioni e ad amatori della domenica, quelli che una volta terminata la lunga sessione televisiva di calcio dal divano, si alzano per recarsi al campo con i soliti amici, dando vita al più classico dei “calcetti domenicali“, la finale della Coppa del Mondo per appassionati poco dotati.
Ma leviamoci un attimo le scarpette e torniamo a noi, perché i più attenti avranno certamente pensato: “Mmh… il calcio l’hanno inventato molto prima… com’è che ci sono riusciti solo così tardi?”. “Halma”, come direbbe Max Allegri. Prima di quella data il gol dalla bandierina non era consentito. O meglio, non era nemmeno contemplato. La storia è cambiata nel 1924, quando l’International Football Association Board (IFAB), l’ente che si occupa dei cambiamenti al regolamento, decide di cambiare e convalidare questo tipo di segnatura.
E qui bisogna fare attenzione, come siano andate le cose esattamente non è ben chiaro. Alcune fonti ci portano in Sudamerica, altre in Inghilterra, noi, per non sbagliare, andiamo in entrambi i posti, che tanto di tempo ne abbiamo.
Sudamerica. Negli anni Venti il calcio è quasi un lontano parente di quello attuale, basti pensare che i Mondiali sono solo ancora un’idea poco nitida. Di simile ai giorni nostri c’è però la rivalità che avvolge tutte le nazionali di quel continente. La più accesa? Quella tra Argentina e Uruguay. Da molto tempo competevano per essere i migliori, nel calcio come nella vita quotidiana. In quel periodo le due squadre si erano affrontate solamente durante la Coppa America, nata nel 1916. L’evento che cambiò tutto è però l’oro che gli uruguagi si mettono al collo alle Olimpiadi di Parigi del 1924, battendo in finale la nostra Svizzera, superata con un roboante 3-0. La cavalcata dell’Uruguay aveva colpito tutti, come emerge dalle parole di allora di Vittorio Pozzo, che al tempo era sia il CT italiano, sia inviato per La Stampa.
Il foot-ball uruguayano è quanto di più fresco, di più genuino, di più tecnico si possa al giorno d’oggi desiderare. Alla difesa spiccò il capitano Nasazzi, un terzino che colpisce la palla a mezzo volo come i migliori difensori professionisti inglesi. Emerge in seconda linea un negro, Andrade, che pare una boite a surprise di trucchi e di risorse. Rifulgono all’attacco le doti tecniche, il palleggio, la velocità di tutti e cinque gli uomini, tutti hanno in comune la capacità di illudere l’avversario, dando a vedere una intenzione e facendo poi l’opposto di quanto hanno lasciato credere; tutti battono gli oppositori con deviazioni del pallone effettuate quando l’avversario è già compromesso dal suo slancio e dalla sua corsa; tutti cercano di provocare situazioni favorevoli con passaggi dietro ai terzini, non dove il compagno sta, ma dove il compagno può giungere.
Vi furono dei lunghi momenti della gara di oggi in cui il giuoco svolto da questi americani, che sono quasi tutti italiani, rappresentava un godimento anche per il più difficile e il più esigente dei competenti. Quello era foot-ball, quello era giuoco bello come condotta, efficace come scopo, convincente come sistema, entusiasmante come varietà”.
Tutti parlano dell’Uruguay, tutti elogiano quella squadra straordinaria, tutti meno che gli argentini, che gonfiano il petto e chiariscono un punto: “Noi non c’eravamo, altrimenti avremmo vinto noi”. Ferita nell’orgoglio, l’Albiceleste lancia la sfida ai cugini: un doppio confronto per stabilire chi sarebbe stato il migliore. I campioni olimpici in carica accettano di buon grado, ma a Montevideo finisce 1-1 e le cose si mettono male in vista del ritorno.
Una settimana più tardi tutto è pronto per la resa dei conti a Buenos Aires, ma quella partita non si disputerà mai. Lo stadio dello Sportivo Barracas, dove si sarebbe tenuto il match, ha una capacità di 40’000 persone. Ne arrivano 50’000. Succede il finimondo. A pochi istanti dall’inizio, ci fu un’invasione di campo, che fece tardare il kick-off. Gli ospiti andarono su tutte le furie, si rifiutarono di scendere in campo e se ne andarono. Si trovò quindi una seconda data, il 2 ottobre.
La partita è il solito minestrone sudamericano fatto di grinta, calci, pugni, giocate sopraffine e pubblico esagitato sugli spalti. Verso l’ora di gioco, ecco che l’arbitro concede un calcio d’angolo agli argentini. Dalla bandierina si presenta Cesareo Onzari, che ancora non sa che sta per finire nella storia.

Il talento dell’Hurràcan, a sorpresa, calcia direttamente in porta. La sfera prende il giro giusto e oltrepassa la riga di porta senza che alcun compagno la tocchi. Argentina 1, Uruguay 0. I padroni di casa festeggiano, gli avversari accerchiano il direttore di gara, Ricardo Vallarino, che non può fare altro che convalidare la marcatura. Il regolamento lo permette, il gol è valido. Questa rete passerà la storia come il “Gol olimpico“. La disputa termina per 2-1 in favore degli argentini.

Bene, ora prendiamo la nave e torniamo nel Vecchio Continente. Pendiamo la nostra valigia e scendiamo in quella che un domani sarà conosciuta come “La città dei Beatles”: Liverpool. Siamo ancora nel 1924. Qui vive un signore sulla quarantina, che di professione fa il giornalista sportivo. Se chiedete in giro di lui, tutti vi risponderanno: “Ernest Edwards? Ma certo, lo trovate alla sede del Liverpool Echo”.
Dalla su macchina da scrivere, settimanalmente elogia o critica i giocatori delle due squadre locali, Liverpool ed Everton. È rispettato e temuto per i suoi giudizi severi e se c’è una cosa che odia, sono le regole approssimative, le cose che si possono interpretare. Ora, immaginate che qualche giorno dopo la sfida tra Argentina e Uruguay, con la sua bella pipa, stia leggendo la cronaca della sfida. “Una beffarda e velenosa traiettoria partita dal piede di Onzari, direttamente dal calcio d’angolo, si è infilata in fondo al sacco, portando avanti i padroni di casa al 60o minuto”. Edwards strabuzza gli occhi, rilegge attentamente quelle poche righe, sicuro di aver preso un granchio, ma così non è.
“Non può essere”, pensa tra sé e sé. Lui le regole le sa bene, una cosa del genere non può essere vera. Eppure, anche a un uomo attento come lui, una cosa era sfuggita: il cambio del regolamento di qualche mese prima promosso dall’IFAB. Preso coscienza dell’innovazione, resta scettico, perché una lacuna nella nuova regola, lui, la vede subito. Nella norma, infatti, non viene specificato in che modo dev’essere battuto il corner, quindi, ipoteticamente, un calciatore può partire palla al piede dall’angolo e andare direttamente in porta, senza passare il pallone a nessuno.
Ora deve solo dimostrarlo. Ma c’è un piccolo problema: lui non gioca a calcio e ad Anfiled o a Goodison ci entra solo per andare in tribuna. Edwards però non è uno che si arrende facilmente. E cosa fa? Va nel solito pub dove a bere c’è Sam Chedgzoy, centrocampista dell’Everton, uno a cui piacciono le sfide. Gli si avvicina e gli fa: “Hey Sam, ho qualcosa per te”.
Convincente come sempre, Edwards spiega a Chedgzoy il piano: al primo calcio d’angolo della partita successiva, la rapida ala destra avrebbe dovuto avanzare senza passare la palla ai compagni, arrivando sino alla porta avversaria, proprio per evidenziare gli effetti collaterali della nuova norma.

I due si accordano, l’esperimento si farà. È il 15 novembre 1924, l’Everton ospita il Woolwich Arsenal, Chedgzoy è in campo come sempre, Edwards è nella sua consueta postazione, piena di matite e taccuini. Al quindicesimo minuto, l’Everton attacca dalla sinistra, il tiro dell’attaccante viene deviato verso la linea di fondo: è calcio d’angolo. Ci siamo. Chedgzoy si avvicina con passo pantofolato al corner, posiziona la palla e attende il fischio del direttore di gara, che a fatica si fa largo tra le urla di Goodison.
Il centrocampista esegue alla perfezione il piano: parte palla al piede e punta la porta. A pochi passi dall’area piccola, calcia, ma la sua conclusione dà solo l’illusione del gol, finendo sull’esterno della rete. Poco male, almeno per Edwards, che è solo un giornalista e che in fin dei conti del risultato gliene importa poco o nulla. Intanto è riuscito a pieno nel suo intento: dimostrare all’IFAB che così le cose non sono chiare. Li ha fregati.
Passano pochi mesi e l’associazione è costretta a cambiare ancora una volta la regola, permettendo sì la rete direttamente dal corner, ma inserendo il limite di un tocco per ogni battuta.
Come dicevamo qualche riga fa, i fatti storici sono un po’ confusi sulle due vicende. C’è chi dice che quella inglese sia avvenuta prima di quella sudamericana, altri invece sostengono la nostra tesi, ma aggiungono che Chedgzoy e Edwards non si siano mai parlati. Altri ancora affermano che il tiro di Chedgzoy sia finito addirittura in rete. Una cosa, tuttavia, è certa: il 1924 ha cambiato per sempre la storia del calcio d’angolo.