È prima mattina, la comitiva si raduna alla spicciolata munita di scarpe e muta in neoprene. A bordo il clima è spensierato, solamente pochi minuti separano dal vivere un’inebriante esperienza. Il sentiero s’inerpica per qualche centinaio di metri, le temperature iniziano lentamente a diminuire e, quel gorgogliare in lontananza, riecheggia sempre più intensamente. A metà del pendio, eccola: quella danza di riflessi immersa in una natura che sembra inospitale, selvatica. La corrente dell’acqua ha inarcato con perseveranza la roccia, realizzando fenditure, cavità. Delle marmitte profonde e pulite, l’impressione di ritrovarsi in una grotta. Il sole si innalza all’orizzonte, l’acqua è freddissima. Ed è proprio qui, fra le montagne, in questo piccolo pezzo di paradiso, che il tour ha inizio. Un’ora e mezza a calarsi con corde, tuffarsi da cascate di differenti altezze, scivolare fra canali e forre, lasciarsi trasportare dall’acqua. Adrenalina. Follia. Emozioni indescrivibili. Ancor più indescrivibili, se sospesi nel vuoto. Moschettoni, caschetto e muta giocano quindi un ruolo di vitale importanza. L’ultimo specchio d’acqua è pronto a riceverti come una palla curva. Una piccola rincorsa e, improvvisamente, si è nel bel mezzo di un’oasi naturale, in una pozza gelida, color cristallino.

Dalla Francia al Ticino

Nonostante l’assonanza prettamente anglofona, il canyoning fonda le sue radici nel Vecchio continente, in Europa. Le prime escursioni non alludevano neanche lontanamente alla ludicità, bensì alla ricerca scientifica. Il 28 giugno 1888, Edouard Alfred Martel, il padre della disciplina, intraprese una delle prime esplorazioni speleologiche nelle grotte dell’Abîme de Bramabiau, nel Sud della Francia. E, nel 1905, affrontò la prima perlustrazione di uno dei canyon più grandi d’Europa, le ‘Gorges du Verdon’. Lo scendere il corso di un fiume o di un torrente combinando tecniche alpinistiche e speleologiche a escursioni di montagna, però, assume una concezione più attrattiva e turistica solamente a inizio anni ’80: la mappatura di territori inesplorati, ma meravigliosi, plasma sistematicamente una crescente comunità di canyonisti, anche fuori dalla propria nicchia geografica. Dal Vecchio continente, alle Americhe, sino all’Oceania… Un fenomeno ormai globale, che non ha risparmiato nemmeno il nostro Cantone. Decine e decine di chilometri che Fabio Marinelli, guida di Ticino Adventures, conosce alla perfezione. Di origini engadinesi, si trasferisce a Sud delle Alpi proprio perché rimasto affascinato dalla natura che caratterizza il Canton Ticino.

«Il Ticino è un teatro ideale, un paradiso»

Destinazione che offre le condizioni ideali per praticare sport estremi e, soprattutto, il canyoning. «Acque cristalline, fiumi, cascate. Un pezzo di paradiso, immerso in una cornice altrettanto splendida. Ad eccezione del riale Boggera (Cresciano), questi torrenti sono ammirabili solamente tramite quest’attività». Adrenalina sì, ma soprattutto bellezza. «Il panorama decisamente mozzafiato che circonda questi territori è qualcosa che rimane ben stampato nella memoria. Un’emozione che nemmeno le migliori fotografie riescono a riprodurre. Per apprezzare realmente una località, è necessario conoscerne ogni più piccola peculiarità». Corippo, Giornico, Cresciano, Osogna, Lodrino. Pochi chilometri, racchiudono una densità enorme di torrenti. Non è dunque un caso che il Ticino sia considerato l’El Dorado del canyoning, che cinque dei più rinomati canyon a livello mondiale – i cosiddetti ‘BIG 5’ – siano in Riviera. «Forre oppure gole spettacolari esistono anche altrove, però, sono poco differenziate, variegate. La particolare morfologia che caratterizza il Ticino, invece, rende i torrenti maggiormente idonei a qualsiasi ‘specialità’, che siano scivoli o calate con corde». A giocare un ruolo di primissimo piano, la grande quantità d’acqua che scorre nei nostri fiumi: «Oltre 160 chilometri si fanno strada fra le rocce, formando innumerevoli peripezie quali salti, toboga».

Il riale Boggera, Cresciano

Una pratica da non sottovalutare

Ma, allora, perché alle nostre latitudini questa disciplina riscontra ancora parecchie resistenze? «A influire sono più fattori, primo fra tutti la differente mentalità. In Ticino gli sport così definiti estremi sono poco praticati, prediletti. La popolazione elvetica, inoltre, è stata profondamente segnata dalla calamità occorsa il 27 luglio 1999 in quel di Saxetbach, in prossimità di Interlaken». Nell’incidente più drammatico che la Svizzera abbia mai vissuto persero la vita ben 21 persona, di cui una tuttora dispersa. Una cinquantina di turisti e otto guide sono intente a discendere il riale quando, improvvisamente, la portata del fiume inizia a gonfiarsi. A colorarsi di marrone. La corrente è sempre più impetuosa e, con sé, trascina detriti, corpi. Il temporale che ha interessato la parte superiore del torrente si è riversato a monte, sorprendendo la comitiva di canyonisti. Fatalità. O irresponsabilità. De facto tre membri del consiglio di amministrazione e il direttore generale dell’impresa organizzatrice del tour vennero condannati a cinque mesi di carcere con la condizionale. Il verdetto, omicidio colposo. Un evento parecchio mediatizzato che indusse il Parlamento a mobilitarsi, formulando una legge che regolamenta l’offerta di attività a rischio – entrata in vigore nel 2014. Niente formazione adeguata, niente certificazione.

Ed è proprio in questa ottica che viene istituita la Swiss Outdoor Association. «Un’organizzazione che ha permesso di uniformare il settore e le direttive da osservare», continua Marinelli. Parola d’ordine, sicurezza. Esperienza, conoscenze in ambito meteorologico, equipaggiamento, «delle competenze essenziali per ottenere la certificazione ‘Safety in Adventures’. Negli anni, il ruolo di guida ha visto un processo di professionalizzazione. Il rischio non viene eliminato completamente, però minimizzato il più possibile». Il torrentismo è da sempre considerato un’attività estremamente pericolosa. Una concezione che, seppure in minor misura, è ancora presente nella popolazione – visti i fatti delle ultime settimane. In quasi vent’anni, i morti a livello nazionale sono una ventina. «È una disciplina affascinante, ma, se praticata superficialmente, può risultare fatale. Come nell’alpinismo, è facile mettere un piede in fallo. Il nostro compito, quindi, è di cercare di ridurre a zero i rischi, di prevedere qualsiasi situazione». Volumi d’acqua importanti, temperature basse, meteo funesta. «Delle uscite che proponiamo conosciamo alla perfezione ogni centimetro di roccia: nessun professionista si reca in un canyon, senza prima effettuare una perlustrazione, sincerarsi delle condizioni del torrente. E, soprattutto, valutare i limiti fisici e mentali del cliente».

«Rigore e rispetto sono d’obbligo»

Il canyoning è infatti suddiviso in quattro livelli di difficoltà e, per procedere di grado, è necessario adempire a dei requisiti. «Una comprovata esperienza nel discendere con delle corde, nell’attaccarsi a delle fisse, nel destreggiarsi su di un terreno particolarmente impervio». Ma, principalmente, un po’ di sana paura. «Sempre rispettare la natura, anche in un canyon considerato fra i più facili, in cui l’acqua presente è minima e la meteo perfetta. Una guida deve prevedere eventuali rischi così da poter reagire prontamente». Piccoli accorgimenti, ma fondamentali. «Chi pratica canyoning non dispone di molta libertà di movimento: deve posizionare il piede esattamente nel luogo indicato; se qualcuno sgarra anche solamente di un millimetro, viene immediatamente redarguito… Pretendiamo molta rigorosità». Proprio perché in un istante può accadere il peggio, specialmente se effettuato privatamente, senza una guida. «Il torrentismo è una disciplina simile all’alpinismo, ma, invece di risalire una montagna, si devono reperire delle tecniche per scendere in territori anche piuttosto impervi. Se non si ha familiarità con la zona e il livello dell’acqua è piuttosto elevato, è facile essere presi alla sprovvista e incorrere in qualche infortunio. Per questo motivo è bene chiamare l’azienda elettrica responsabile del torrente in modo da sincerarsi delle condizioni di rilascio». Previa, una multa fino a 10mila franchi.

Gli ultimi sforzi, in immersione

Un’opportunità da cogliere per il Ticino

Negli ultimi anni il movimento canyonistico ha vissuto una crescita esponenziale, e ancora crescerà. Per la Riviera, ad esempio, quest’attività è molto importante a livello turistico. Le cifre parlano chiaro: tanto per snocciolare qualche numero in soli sei mesi ospita circa 30mila persone. «La natura è il miglior prodotto del Ticino. Ai tempi del Covid-19 è interessante notare come una fetta di mercato sia sparita (Usa, Nuova Zelanda), però i dati sono rimasti pressoché invariati». A mancare è un po’ di commercializzazione, promozione. «Parecchie aziende stanno pianificando di insediarsi nel nostro Cantone, quello che vorremmo è una maggiore visibilità da parte degli enti turistici». Un’opportunità che potrebbe creare un indotto economico ancora superiore, ma servono le giuste infrastrutture. «Dei cestini per l’immondizia, degli spogliatoi e, perché no, dei posteggi per camper così da creare una rete in cui i canyonisti possano ritrovarsi, scambiarsi le informazioni». Da implementare pure la cartellonistica. «Ma, queste, sono soluzioni di lusso. In fondo per praticare il torrentismo è necessario solamente possedere una buona dose di coraggio, quella passione per il rischio. E, soprattutto, l’amore per la natura».