Il discorso, inteso come un insieme di parole pronunciate davanti ad una folla, è ciò che più di ogni altra cosa conferisce a chi lo compie un’aura di spiritualità e leadership che cresce con l’incalzare delle sue parole. Se ne fa spesso carico colui che possiede doti oratorie innate. In ambito penale ad esempio, l’arringa è il massimo concetto di persuasione e convincimento; nel dibattimento la difesa, tenendo conto degli strumenti a disposizione, è capace con la sua capacità interlocutoria di ribaltare le sorti di un processo.
In ambito calcistico, l’arringa può essere compito del capitano ma anche di chi sente il bisogno di esternare le proprie sensazioni ed emozioni e rendere partecipi i compagni, non solo di squadra ma spesso di vita e più metaforicamente di viaggio. Il teatro delle più grandi arringhe sportive è quasi sempre il Sudamerica, leader incontrastato quando si tratta di parlare stringendo il cuore, spremendolo facendo fuoriuscire emozioni e talvolta commozione. La parola è traducibile con “arenga“, molto simile alla nostra e anticipa l’evento a cui si sta andando incontro.
Chi è un habituè del calcio sudamericano, specie rioplatense, sa bene che al fischio d’inizio il telecronista pronuncia il quasi solenne “arranca el partido”, dove il verbo arrancar sta per cominciare e allora il riferimento e il collegamento sorge quasi naturale e spontaneo. L’ “arenga” come preludio, come motivazione all’ “arrancar”, quasi a ricordare il motivo per cui si è lì e affrontarne l’inizio nel migliore dei modi, con le emozioni spremute e messe su un tavolo di spogliatoio in cui ora si ha la fortuna di entrare con le telecamere e farne parte, quasi da protagonista.
Con l’era dei social, alcune vengono così rubate dall’intimità dello spogliatoio e rese pubbliche, spesso diventando virali e provocando opinioni e dibattiti. Un caso che si riallaccia a questo ha luogo nel mondiale brasiliano del 2014 quando Mascherano motivò i compagni e il portiere Romero prima dei rigori contro l’Olanda facendo la parte del “capitano morale” a scapito di Messi che indossava la fascia, colpevole per i suoi detrattori di non avere la giusta personalità per ricoprire alcuni ruoli.
Restando in tema mondiali 2014, nelle qualificazioni Conmebol che lo hanno preceduto, prima di un Colombia-Argentina, uno dei capitani più rappresentativi della storia dei Cafeteros, Mario Yepes, fece un discorso invogliando tutti all’impegno come senso di dovere nei confronti della gente che segue la nazionale, la famiglia, i loro amici, parafrasando quasi quello di Al Pacino nel celebre film “Ogni maledetta domenica”.
In caso di vittoria, il discorso si veste ancor di più di contorni leggendari, come vero e proprio preludio di un film a lieto fine, come motivazione del raggiungimento della sopracitata. Pogba, leader in campo piuttosto silenzioso, grazie ai video trapelati dagli spogliatoi abbiamo avuto modo di conoscerlo in una vena più da condottiero e convinto motivatore. Il discorso della finale, come ultimo sforzo a compimento di un percorso glorioso, è stato di sicuro il lasciapassare per una partita a lungo dominata dai transalpini contro la sorpresa Croazia.
Non tutte però anticipano una vittoria, anche una sconfitta, seppur con onore. Fu meravigliosa e memorabile quella di Veron, prima della finale persa del Mondiale per Club contro il Barcellona, con gol di petto di Messi nei supplementari. Juan Sebastian, quasi adottato calcisticamente in Italia, avendolo visto giocare e vincere con Parma, Lazio e Inter, ha concluso la carriera nel club del suo cuore, l’Estudiantes e da quelle parti non sarà mai un semplice calciatore, ne un capitano. Dal 2014 infatti ricopre la carica di presidente e l’anno scorso si riallacciò gli scarpini e scese in campo per un raro caso di presidente-giocatore. Il discorso come accennato, precede una sconfitta, in una finale intercontinentale e il caso vuole che l’unica che il Pincha (come vengono soprannominati i biancorossi di La Plata) vinse fu cinquanta anni fa, contro il Manchester United. A Old Trafford, stadio in cui si consacrarono campioni, il gol dell’1-1, quindi della vittoria ai fini del doppio scontro e della vittoria ottenuta in casa, fu realizzato niente meno che dal papà Juan Ramon.
La più recente arenga è quella di un altro argentino, di Alexander Szymanowski che non potè partecipare alla sfida casalinga contro il Barcellona dello scorso 26 settembre ma il suo discorso, con richiami al coraggio e alla virtù, che la sfida fosse per coraggiosi e per chi fosse riuscito a mostrarlo con il pallone tra i piedi, probabilmente aiutò i compagni a superare a sorpresa i blaugrana per 2-1, in quella che fino ad ora resta la loro unica sconfitta nel campionato in corso.
Esistono anche “arengas” di addio, ed è quella che ha avuto protagonista non molto tempo fa Zè Roberto che con le lacrime e senza volerlo realmente, all’alba dei suoi 44 anni ha detto addio al Palmeiras. Dando all’addio una connotazione quasi paurosa, che è qualcosa che sai che verrà ma che si cerca sempre di prolungare. Suggerisce di vivere la passione intensamente perchè è fugace e da lì si riallaccia alla carenza di idoli al giorno d’oggi in Brasile e lui che regala un lascito, che spera arrivi a contagiare il paese come un esempio. Le parole di un leader, il cui carisma è qualcosa di cui si sente la mancanza non appena il suo discorso viene ultimato.
Non c’è però età per fare un’ “arenga”, essendo convincente. Uno anno fa, il capitano di una delle squadre delle giovanili del Newell’s Old Boys fece un discorso con tanto di mano sul cuore, rivendicando amore per i colori, calandosi già, nonostante i suoi dieci anni, nella rivalità contro il Central definendo la sua maglia, la più importante della città di Rosario. All’epoca fu criticato per l’eccessiva convinzione in un’età in cui il calcio dovrebbe essere solo divertimento, giocando spassionatamente ma è innegabile che in lui non manchino già da adesso leadership e tenacia. Dice ai suoi giovani amici e compagni di ricordarsi dei sacrifici dell’allenamento e che l’impegno vincere la finale che avrebbero giocato da lì a poco, lo devono a loro stessi.
Partire dal singolo, per arrivare al collettivo, avvicinare i cuori con le parole e dare a queste ultime la spinta emotiva per cui sentirsi vicino l’uno con l’altro. Le arringhe/arengas hanno significati diversi, accomunati da un sentimento universale, valevole per tutti, vivere la propria passione al massimo e soprattutto con virtù. Riportando una frase di Daniel Goleman, autore del celebre libro “Essere leader”: “In un leader la gente cerca anche un contatto che implichi supporto emotivo, in una parola, cerca empatia”. Non c’è miglior riconoscimento che guadagnarsi questo tipo di carica e di ruolo, tra i propri simili, da persone/giocatori/compagni che sono spinte dalla tua stessa passione.