di Prisca Bognuda
Ho incontrato Dominique Gisin in un giorno di inizio marzo scorso, quando dopo parecchie settimane di bel tempo in Ticino, scendevano grossi fiocchi di neve: neanche a farlo apposta. È stato difficile trovare una domanda che ancora non le era stata fatta, dopo tanto tempo trascorso sulle vette più alte dello sci internazionale. Avevo letto un’intervista che le era stata fatta anni prima, quando dopo l’ennesimo infortunio aveva annunciato che sarebbe ritornata a gareggiare. La giornalista incredula le aveva chiesto il motivo che la spingesse a ricominciare ancora una volta, e lei aveva risposto «perché sto vivendo il mio sogno». Ecco, forse è proprio da lì che vorrei partire. A distanza di cinque anni dall’abbandono del circo bianco, le chiedo subito che cosa le è rimasto di quel sogno.
«Tutto – mi dice con gli occhi che ancora le brillano – penso di essere riuscita a viverlo davvero fino in fondo quel sogno. Ho raggiunto tutto quello che volevo, ho potuto vivere così intensamente questa mia passione, che sarò per sempre grata alla vita. I primi anni, dopo essermi ritirata dallo sci competitivo, è stato difficile, perché mi mancavano moltissimo i viaggi, l’atmosfera, le piste più belle del mondo, l’andare veloce. Sono delle sensazioni che resteranno per sempre nella memoria del mio cuore. Ora però è anche bello godere di una vita un po’ più “normale”. Trascorro più tempo a casa, con il mio fidanzato e con la mia famiglia. Mi piace molto sentirmi, come si dice, on the ground. Qualche volta, mi capita di trovarmi in città a Zurigo, e quando mi presento a gente che non mi conosce evito di raccontare del mio passato, dico solo di aver studiato fisica e di aver lavorato un po’ nel mondo dello sport».
Un mondo che fa parte di me
Penso al fatto che spesso Dominique appare ancora in tv come commentatrice o come ospite a qualche conferenza, e le dico che in fondo mi sembra che quel mondo non lo abbia abbandonato del tutto. «Sicuramente penso che non riuscirò mai a lasciarlo – dice sorridendo – Amo lo sci profondamente, e non sarei in grado di vivere senza, fa parte del mio DNA. Ora è bello tramandare tutta la mia esperienza a mia sorella Michelle».
“Devi avere un fuoco che brucia dentro”
«In questo modo, mi sembra che tutti gli anni prestati a quella vita meravigliosa possano ancora essere utili. Anche attraverso le conferenze che faccio, adoro trasmettere alle persone le mie emozioni, ma soprattutto la speranza. È così bello quando parlo con la gente e vedo brillare i loro occhi. Credo di non essere io a emozionarli, ma piuttosto il mio vissuto. Una storia in cui è facile immedesimarsi, caratterizzata da continui alti e bassi, proprio come nella vita quotidiana. Ho avuto una carriera marchiata da numerosi infortuni, in momenti davvero difficili da gestire – e qui i ricordi vanno a Vancouver, Garmisch e Schladming – che mi hanno costretta a fermarmi parecchie volte. A 14 anni ero davvero una bambina prodigio, ma ho dovuto fermarmi per tre anni a causa di un infortunio al ginocchio. Non è stato così scontato tornare, dopo la riabilitazione, a gareggiare ai massimi livelli. Quando rientri in quel mondo fatto di centesimi, e ti accorgi di correre ben al di sotto dei tempi a cui era abituata, di nuovo, non è così scontato rimanere e lottare per riconquistarti il tuo posto. Devi avere i piedi ben piantati a terra e un fuoco che brucia dentro».
Parlami di quel fuoco. «È una passione incondizionata. Se non ce l’hai, è difficile arrivare ai livelli più alti. Non ho mai vissuto la mia passione come un lavoro. È sempre stato chiaro fin dall’inizio, che dentro di me c’era qualcosa di più grande, che ardeva irrefrenabilmente. Volevo riprendermi tutti gli anni che gli infortuni mi avevano “rubato”. Quando ti capita di cadere così violentemente, più e più volte, e continui comunque ad essere convinta di voler continuare a percorrere quella via, puoi star certa, che quella è la strada per te. Gli incidenti capitano e servono per metterci alla prova. Credo sia fondamentale ascoltare sempre e in modo sincero la propria pancia e il proprio cuore».
Un profondo rispetto
Penso alla vita di un campione olimpico, scandita da impegni sportivi, mediatici, dallo staff, la famiglia, ma penso anche alla grande forza mentale necessaria ad affrontare tutto questo. Penso a uno sport come lo sci, piuttosto individuale, e all’importanza che riveste l’appartenenza a una squadra, e le chiedo come si fa a gestire la competizione tra compagni. «La squadra è sempre molto importante, anche nello sci. È vero che qualche volta diventa il tuo maggiore avversario, ma è giusto così; alle Olimpiadi per esempio, ci sono solo 4 posti per la Svizzera e ai Mondiali è la stessa cosa. La strada dello sportivo professionista viaggia su un equilibrio piuttosto precario, e può cambiare tutto da un giorno all’altro. Questo è il motivo per cui tutti si battono per “restare su”, ma anche quello per cui all’interno del circo bianco, si respira un profondo rispetto. Tutti i concorrenti conoscono i sacrifici, la fatica e il duro lavoro che bisogna investire per arrivare fino a lì. C’è tanta voglia di lavorare in modo professionale e questo mi è sempre piaciuto. Tutti all’interno della mia squadra conoscevano i miei punti deboli, ma mai nessuno ha provato ad avvicinarli. Io ero soprannominata una Black all, perché alla partenza avevo bisogno di isolarmi da tutto e tutti, e rimanere concentrata. C’è chi invece, come mia sorella» mi dice sorridendo «sembra piuttosto una radio, e sente il bisogno di ridere e scherzare fino all’ultimo secondo».
L’ora di dire basta
Il sorriso di Dominique, un’immagine che mi ricorda quando da tifosa, insieme ai miei fratelli, passavo i pomeriggi incollata al televisore, in attesa che, al cancelletto di partenza, apparissero le svizzere. Lei era una delle nostre preferite. Ricordo quando mi giunse la notizia che avrebbe smesso con lo sci competitivo e pensai a come, un atleta del suo calibro, potesse rendersi improvvisamente conto che fosse giunto il momento di affrontare l’ultima discesa. Le chiedo quindi in che modo ha capito che era ora di dire basta. «Per me è stata una decisione molto facile». Le sue parole mi lasciano di stucco. «Dopo le Olimpiadi avevo ancora voglia di fare qualcosa di più in Gigante, perché sono sempre stata molto vicina a conquistare il podio, e volevo riuscirci. Per questo, di nuovo, con il mio allenatore abbiamo cambiato preparazione fisica e tecnica».
“Smettere? Una decisione molto facile”
Mi viene la pelle d’oca perché ricordo perfettamente la sua ultima gara in carriera: lo Slalom gigante ai Campionati svizzeri del 29 marzo 2015, che vinse. «Giunta poi alla fine della primavera – continua – mi sono chiesta cosa avrei ancora potuto cambiare, ancora raggiungere, cosa avrei potuto ancora migliorare; e nella mia testa non c’era più niente. La risposta allora è stata chiara, era ora di dire basta. Non sono la migliore del mondo, ma sono arrivata al massimo livello a cui potevo aspirare. Ed è stato così naturale rendermene conto, che non ho sofferto la decisione. Certo, il primo anno è stato difficile, perché come dicevo mi mancava un po’ tutto, ma penso davvero fosse il momento giusto».

La passione per il volo
Ora mi sposto dallo sport, perché vorrei anche sapere come Dominque Gisin sia finita a pilotare un aereoplano e a studiare fisica. «La passione per il volo è nata in seguito al mio primo grave infortunio – mi spiega – quando a 14 anni quando mi sono fatta male al ginocchio e per 3 anni non potevo sciare. Dovevo trovare qualcosa su cui concentrarmi e che smuovesse in me una nuova passione. Il mio migliore amico di allora era appassionato di aviazione. Passava notti intere su Flight Simulator e mi ha spinta a iscrivermi alle selezioni per gli esami. Ho cominciato così anche a volare. Dal primo giorno che mi sono seduta ai comandi, ho capito che avrei fatto anche la pilota. Quando poi sono uscita dall’infortunio e ho ricominciato a sciare e a guadagnare qualcosa, ho deciso di studiare per la licenza privata. L’anno scorso sono riuscita superare gli esami per la licenza commerciale e ora sto cercando un lavoro nel mondo dell’aviazione».
“Quando hai abbastanza per vivere la tua vita con serenità e sei felice di quello che fai, hai vinto tutto“
« La fisica invece è stata una grande scoperta. Il mondo degli universitari era completamente diverso da quello che conoscevo. In questo lo sci mi ha aiutata. Come tutti gli sport, è stato una scuola di vita. Gia da piccola impari a porti delle priorità e a organizzarti tra i numerosi impegni. Così come, allo stesso modo, ti organizzi quando sei all’università. Era uno studio di interesse, anche se piuttosto difficile. La fisica o la ami o la odi. Dopo il bachelor mi sono resa conto che per l’aviazione nutrivo una passione più grande, dunque ho deciso di proseguire su quella strada. Non escludo però che un giorno possa continuare gli studi con un master. Nel mio lavoro ideale, mi piacerebbe unire la scienza con l’aviazione. Vedrò cosa il futuro avrà in serbo per me. Alla fine, quando trovi un lavoro che ti piace, non sono davvero i soldi che fanno la felicità. Quando hai abbastanza per vivere la tua vita con serenità e sei felice di quello che fai, hai vinto tutto».