Tratto dal 1° numero cartaceo di Rivista Corner (Settembre 2019)

Ci accoglie in quella che per lui è una seconda casa. È nato ventotto anni fa a pochi passi da Cornaredo. Papà Maurizio del calcio è un grande appassionato e la voglia di avere il pallone tra i piedi l’ha trasmessa anche ai figli Marco e Alessio. Sono bravi, e in particolare Alessio farà una buona carriera, ma l’ultimo nato di casa Bottani ha quel qualcosa in più. È piccolo, gracile e fatica a crescere, ma chi lo vede giocare si stropiccia gli occhi. Il talento di certo non gli fa difetto e ha tocchi di nobiltà calcistica che mostra già in tenera età, tra finte, controfinte e tiri. Intanto, a una manciata di chilometri dall’abitazione famigliare, giocano i bianconeri, ed è un gran bel vedere. Andrioli, la doppietta di Subiat e il punto finale di Fornera. Siamo nel maggio del 1993, Mattia ha due anni, e il Lugano, quel Lugano che solo a nominarlo fa venire la pelle d’oca ai nostalgici, alza al cielo di Berna la Coppa Svizzera, la terza della sua storia, mettendo la sua bandierina nel panorama calcistico elvetico, prima di un’inesorabile caduta. Tornerà, grazie anche alle giocate di quel ragazzino dal sorriso che abbaglia, figlio della città e della sua gente. Cornaredo per lui è una seconda casa, dicevamo. L’ha sognato. L’ha ammirato. E l’ha conquistato, senza ricevere sconti né tantomeno regali. Ne conosce ogni angolo e ci porta nei meandri dello stesso. Ci dice che è vecchio e che la squadra ne meriterebbe uno nuovo, ma in cuor suo lo ama e probabilmente il giorno in cui l’impianto verrà rimpiazzato se ne porterà a casa un pezzetto e gli mancherà.

Lì è cresciuto, diventando uomo. È maturato. E si è fatto un nome. Lo si capisce dallo sguardo dei bambini che gli passano a fianco: sognano di calcare le sue tracce e vivere un futuro come il suo, sulla cresta dell’onda di una cittadina di 60’000 abitanti. È diventato semplicemente Mattia Bottani, “il Botta”, che a Lugano, e non ce ne voglia l’onorevole, è quasi più famoso del sindaco Borradori.
Sul triangolo verde è deciso, quasi irriverente quando accarezza il pallone e a grande velocità sfida tutto e tutti; nella quotidianità è introverso, alcune volte addirittura timido. Al microfono però si destreggia bene, da calciatore navigato, con risposte mai banali e dribblando le domande a cui non vuole o non può dare una risposta. “Mi posso definire un ragazzo felice, sognavo di fare il calciatore e ce l’ho fatta”. Il dieci dei bianconeri ripercorre i desideri del Mattia bambino e ci confessa che per un momento della sua vita ha pensato di fare lo psicologo. “Mi piaceva e mi interessa tuttora la psicologia, ma bisognava studiare troppo, meglio, molto meglio, dedicarsi al pallone (e scoppia in una risata fragorosa, ndr)”. Il punto di svolta della carriera di Mattia è coinciso con il passaggio nella U18 del Team Ticino, allenata da Davide Morandi. Un’annata memorabile, in cui la squadra ticinese si è tolta parecchie soddisfazioni. “Eravamo un gruppo pazzesco, coeso e ricco di qualità. Siamo stati secondi solo al Basilea di Shaqiri. Lì ho preso consapevolezza dei miei mezzi e ho capito che potevo farcela”. Da quel momento è stato un climax ascendente. A ventotto anni, però, il ticinese non ha intenzione di riporre i suoi sogni in un cassetto. “Chi lo sa, magari, anche complice l’Europa League, potrebbero aprirsi altri scenari. Qui sono felicissimo, ma sono comunque un ragazzo ambizioso. Dove mi piacerebbe giocare? Serie A o Liga. Dico Italia perché si tratta del campionato di riferimento per noi ticinesi, la Spagna invece per le mie caratteristiche tecniche”.

Con la Spagna si arriva a parlare del Barcellona e del mito Messi. “Il secondo nome di mio figlio è Lionel e per me l’argentino è il migliore al mondo. Un esempio e un modello a trecentosessanta gradi. È impressionante e se potessi gli ruberei la sua capacità di segnare. Io sto lavorando molto su questo aspetto perché sono consapevole che si tratta del mio punto debole”. La vita di uno sportivo, ça va sans dire, è fatta di gioie, ma anche di dolori. Cartoline bellissime, come la promozione in Super League o l’ottenimento di un piazzamento valido per l’Europa, ma anche sconfitte e delusioni. Bottani il momento più basso della sua carriera l’ha vissuto a Zurigo: durante la finale di Coppa Svizzera del 2017 ha sbagliato un calcio di rigore e la sua squadra è stata sconfitta. Una croce che per un po’ l’ha tormentato. Lui ha però avuto la forza di reagire e il cerchio si è chiuso pochi mesi fa con la rete decisiva per (ri)portare il Lugano in Europe League. “Non è stato facile. Ho avuto bisogno di un po’ di tempo, ero distrutto. Per fortuna la mia famiglia mi ha aiutato molto”. E solo a citare i suoi affetti gli si illuminano gli occhi, colmi d’amore. “Sono sposato e ho due figli. Qualsiasi cosa succeda, quando torno a casa sento il loro amore e questo mi permette di superare ogni difficoltà. Inoltre, vista la mia professione, ho molto tempo libero per stare con loro ed è bellissimo”. Il passato e il presente di Mattia Bottani sono legati ai colori della sua città, anche se per un breve periodo si è trasferito oltre Gottardo. “L’esperienza a Wil mi ha fatto bene. Sono uscito di casa e dalla mia ‘comfort zone’, ho imparato una nuova lingua e tutto ciò mi è servito molto, mi ha arricchito. Dal profilo sportivo invece ci sono stati tanti problemi”.

Mettendo da parte lo sport, quali sono i pensieri di Mattia sulla sua città natale? “Come paesaggio e clima è sicuramente tra le più belle della Svizzera, non lo dico solo io, ma tutti i compagni di squadra giunti da altre parti del mondo. Di Lugano mi piace anche quel suo essere ‘easy’ e a misura d’uomo. Cosa migliorerei? Sicuramente lo stadio! Vetusto e non all’altezza. E in ultimo il fatto che siamo un cantone un po’ litigioso”. Mattia vive il calcio intensamente, ma non sta fermo con le mani in mano. Ci confessa che forse, post-carriera, non sarà il suo ambiente. Per questo motivo insieme a un amico ha aperto un bar (Royal-Shisha Bar & Lounge a Paradiso) e ha altre idee per avere delle garanzie una volta appese le scarpe al chiodo. Soprattutto, dice, legate al settore immobiliare.
In squadra è amato, ma il suo amico del cuore è capitan Sabbatini, con cui va molto d’accordo e spesso si ritrovano con le famiglie al completo. La nostra chiacchierata tocca il rapporto con il presidente Angelo Renzetti. “Un legame speciale e mi fa molto piacere. I miei compagni all’inizio mi prendevano in giro, chiamandomi ‘figlio del presidente’, ma io non ci ho mai fatto caso più di tanto. Ho sempre riso di questa cosa e cercato di ripagare Angelo della fiducia”.

Il discorso si sposta sugli aspetti tecnici della Super League, con Bottani che un po’ dispiaciuto denota come sempre di più si punti sulla forza fisica e non sulla tecnica. Un peccato, soprattutto per un giocatore come lui. Sul finire della nostra chiacchierata gli domandiamo cosa debba fare un giovane per affermarsi. “Lavorare tanto. Purtroppo spesso i ragazzi non si rendono conto della fortuna che hanno. Quest’anno giochiamo l’Europa League e può essere un trampolino di lancio importante. Inoltre, il consiglio che do, è quello di non sottovalutare nulla. Il nostro lavoro non si limita all’allenamento con la squadra. Bisogna curare ogni aspetto, dal proprio corpo all’alimentazione. Confesso che anche io, fino a circa 23 anni, non mi soffermavo più di tanto sul cibo e mangiavo schifezze. Poi ho capito l’importanza e fa davvero la differenza”. La lancetta dell’orologio va avanti in maniera inesorabile e i suoi compagni stanno per arrivare al campo per allenarsi in vista di un’importante sfida di campionato. È quasi arrivato il momento di concludere e lui, vestendo i panni da leader, lancia un appello ai suoi tifosi. “È un peccato vedere il nostro stadio quasi deserto. In questi anni stiamo raggiungendo dei traguardi impensabili per una società piccola come la nostra e con dei mezzi finanziari ridotti. Invece siamo lì, a giocarcela con tutti. Forse la gente non se ne rende conto, ma complice anche il nuovo regolamento, in futuro sarà difficilissimo rivedere il Lugano ai gironi di Europa League. Per questo, per l’impegno dei ragazzi e di tutta la società, credo che meriteremmo più pubblico. L’affetto dei tifosi fa la differenza ed è anche un bel biglietto da visita”.

Lo salutiamo. Ci fa un gran sorriso, l’ennesimo della giornata, scarpe in mano ci sguscia via e in un battibaleno non lo vediamo più. Un po’ come in campo, dove il funambolico Botta si muove come un giocoliere.

(Foto di Gioele Pozzi)