Negli anni Settanta e Ottanta ho passato momenti indimenticabili davanti alla tv ad ascoltare quel grande signore dei telecronisti sportivi che risponde al nome di Giuseppe Albertini, o il suo altrettanto bravo collega Tiziano Colotti (mentre alla radio preferivo Sergio Ostinelli). Ogni tanto mi recavo pure sugli spalti del vecchio Wankdorf di Berna. Sempre per tifare la nostra nazionale. Sempre per incassare sconfitte onorevoli. Venivano proprio chiamati così gli “exploit” di Heinz Hermann e compagni, quando riuscivano a contenere il passivo contro nazionali che andavano per la maggiore. Quando i nostri durante i 90 minuti proponevano pure un calcio migliore. Poi però il risultato non rispecchiava quasi mai la prestazione e… onorevolmente la Svizzera perdeva. Ma soprattutto non si qualificava mai per un Europeo o per un Mondiale.
Sempre incompiuti
Eravamo fortissimi in amichevole. Quel fenomeno di Elsener a Roma nel 1982 – contro l’Italia appena diventata campione del mondo e davanti a 80mila spettatori radunatisi per osannare gli azzurri trionfatori di Madrid – si involò come un demonio (era davvero velocissimo!!!) e uccellò Bordon che aveva da poco sostituito il mitico Dino Zoff. Erano 11 anni che l’Italia non perdeva in casa. La Svizzera di Wolfisberg violò un fortino inespugnabile. Ma loro erano Campioni del Mondo, noi non eravamo nemmeno stati invitati alla rassegna mondiale spagnola. Si masticava amaro, non dobbiamo nascondercelo.
Ci si domandava quando avremmo avuto la fortuna di partire per una spedizione mondiale o europea. E intanto buoni, anzi a volte ottimi, giocatori svizzeri venivano bruciati, senza provare le gioie dei loro colleghi di altre nazioni.
La svolta di Roy
Tutto cambiò all’inizio degli anni Novanta. Un campionato di Serie A un po’più combattuto, ma soprattutto l’arrivo sulla panchina elvetica di un allenatore, tale Roy Hodgson, inglese, che da due anni allenava il Neuchâtel Xamax. Prese il posto di Uli Stielike (grande giocatore tedesco, che militò anche nel Real Madrid), che aveva già dato quel qualcosa in più al gruppo. Ma Hodgson, con uno stile pacato, però pronto anche a scelte dolorose o discutibili (si pensi all’esclusione del bomber Kubi Türkylmaz per il Mondiale USA ‘94) trovò la combinazione giusta. La chiave per portare finalmente la Svizzera ai Mondiali. Fu una campagna memorabile, quella che condusse Geiger e compagni negli Stati Uniti nel 1994. Nel girone con Italia, Portogallo e Scozia, la Svizzera riuscì a ottenere 3 punti su 4 contro l’Italia di Sacchi (e mannaggia per quel 2-2 a Cagliari, quando ci siamo fatti raggiungere negli ultimi 7 minuti, dopo essere stati in vantaggio di due gol). In America non solo ci andammo, ma superammo anche il primo turno (pareggio 1-1 con i padroni di casa; vittoria 4-1 contro la Romania e sconfitta 0-2 con la Colombia e poi secco stop imposto dalla Spagna ai nostri per 3-0 agli ottavi).
Non una semplice partecipazione
Però quella “campagna” americana, assieme alla qualificazione per il successivo europeo in Inghilterra sempre sotto la guida di Hodgson, ha mutato tutto il corso del nostro calcio. I ragazzini tornavano a indossare le magliette rossocrociate, a imparare a memoria la formazione, ad appendere sulle pareti del frigo in cucina le fotografie dei nostri eroi, con quel biondo di un Alain Sutter che faceva impazzire (e quindi avvicinare alla nazionale) anche le donne, oltre che i terzini avversari! E possiamo ben dire che quelle due partecipazioni agli appuntamenti che contano sono il motivo principale che ha condotto la Svizzera dopo il 2006 a centrare quasi sempre Mondiali ed Europei. Il perché è semplice: in quegli anni di forte entusiasmo collettivo iniziavano a muovere i primi passi calcistici i classe ’91 e ’92. Sia quelli nati con passaporto rossocrociato sia quelli giunti per la guerra nei Balcani in Svizzera, che divennero poi connazionali e che oggi formano l’ossatura della nazionale. Questo è il primo motivo, più… romantico. Quello poi vero – e oserei dire venale – fu il fatto che andando ai Mondiali e agli Europei, l’Associazione Svizzera di Football incassò un bel gruzzolo di milioni, che seppe però investire molto bene nella formazione dei nostri talenti, tanto da diventare un modello copiato da Nazioni ben più prestigiose (e con altri numeri e talenti), come la Germania.
Se oggi possiamo considerare quasi scontato aver raggiunto l’Europeo itinerante del 2020, abbiamo un uomo mai abbastanza ringraziato che dobbiamo ricordare e che di nome fa Roy Hodgson. Allenatore non ovunque vincente, ma che per i nostri destini calcistici è paragonabile a Guglielmo Tell per la storia svizzera…
di Gian Maria Pusterla